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SCENA QUINTA

Satiro.

Come il gelo a le piante, ai fior l’arsura,

la grandine a le spiche, ai semi il verme,
le reti ai cervi ed agli augelli il visco,
cosi nemico a l’uom fu sempre Amore.
E chi «foco» chiainollo, intese molto
la sua natura perfida e malvagia,
ché, se ’1 foco si mira, oh come è vago !
ma, se si tocca, oh come è crudo! Il mondo
non ha di lui piú spaventevol mostro.
Come fèra divora e come ferro
pugne e trapassa, e come vento vola;
e dove il piede imperioso ferma,
cede ogni forza, ogni poter dá loco.
Non altramenti Amor: ché, se tu ’l miri
in duo begli occhi, in una treccia bionda,
oh come alletta e piace; oh come pare
che gioia spiri e pace altrui prometta !
Ma, se troppo t’accosti e troppo il tenti,
si che serper cominci e forza acquisti,
non ha tigre l’Ircania e non ha Libia
leon si fero e si pestifero angue,
che la sua feritá vinca o pareggi.
Crudo piú che l’inferno e che la morte,
nemico di pietá, ministro d’ira,
è finalmente Amor privo d’amore.
Ma che parlo di lui? perché l’incolpo?
È forse egli cagion di ciò che ’l mondo,
amando no, ma vaneggiando, pecca?
O femminil perfidia, a te si rechi
la cagion pur d’ogni amorosa infamia;