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dal giovane crudel morte attendea.

Strinse intrepido Aminta il sacro ferro
e parea ben che da l’accesa labbia
spirasse ira e vendetta. Indi, a lei vólto,
disse con un sospir, nunzio di morte:
— Da la miseria tua, Lucrina, mira
qual amante seguisti e qual lasciasti,
mirai da questo colpo. — E, cosi detto,
feri se stesso e nel sen proprio immerse
tutto ’l ferro, ed esangue in braccio a lei,
vittima e sacerdote in un, cadeo.
A si fero spettacolo e si nuovo
instupidi la misera donzella
tra viva e morta, e non ben certa ancora
d’esser dal ferro o dal dolor trafitta.
Ma, come prima ebbe la voce e ’1 senso,
disse piagnendo: — O fido, o forte Aminta,
o troppo tardi conosciuto amante,
che m’hai data, morendo, e vita e morte,
se fu colpa il lasciarti, ecco rammendo
con l’unir teco eternamente l’alma. —
E, questo detto, il ferro stesso, ancora
del caro sangue tiepido e vermiglio,
tratto dal morto e tardi amato petto,
il suo petto trafisse e sopra Aminta,
che morto ancor non era e senti forse
quel colpo, in braccio si lasciò cadere.
Tal fine ebber gli amanti ; a tal miseria
troppo amor e perfidia ambidue trasse.
Mirtillo. O misero pastor, ma fortunato,
ch’ebbe si largo e si famoso campo
di mostrar la sua lede e di far viva
pietá ne l’altrui cor con la sua morte!
Ma che segui de la cadente turba?
trovò fine il suo mal? placossi Cintia?
Ergasto. L’ira s’intiepidi, ma non s’estinse,