Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/312

proprio frontespizio e propria numerazione di pagine, conservando l’originale avvertenza dell’editore e l’originale imprimatur. Su questa stampa ho, naturalmente, esemplato questa mia edi- zione, nella quale, oltre i frequenti errori tipografici e alcune sviste, ho corretto: Pag. 219, r. 4 aggiunto «ciò»; pag. 225, r. 12 aggiunto «non» ; pag. 237, r. 29 aggiunto «si» a «purgano»; pag. 252, r. 14 «quando... e fu» mutato in «Quando..., e’ fu»; pag. 2S5, r. 7 «col qual» mutato in «senza ’l qual». Ho riscontrato sui testi relativi i numerosi passi latini e greci, dal Guarini sempre poco correttamente riferiti: però non mi fu possibile trovare le traduzioni di Filone e di Basilio Magno da lui usate; e, quanto al greco, nel passo di Aristotile riferito a pag. 250, r. 23 ho creduto di lasciare TtoioúvTa, dove il testo lipsiense legge toiaúxa, perché quel participio ha rispondenza nella tradu- zione italiana che segue. Le Annotazioni , dopo non breve incertezza, ho creduto di omettere, perché, se è vero, come dice benissimo il Rossi, che esse «si possono quasi chiamare un commento esegetico, che mira a mostrare come ogni cosa nel dramma abbia la sua ragione, come tutto sia condotto a cospirare alla soluzione del nodo principale», e se non si può dubitare siano opera del Guarini stesso, è anche vero che ciò che costituisce l’essenza di questo commento è contenuto nel Compendio , il quale perciò basta per la cono- scenza del pensiero critico del Guarini e delle ragioni dell’arte di lui (•). (1) Di queste Annotazioni è notevole e merita di essere riferita nella sua parte essenziale quella al verso «Cieco, Amor, non ti cred’io» (atto terzo, se. li): «Né mi par di tacere il modo, coti che il poeta nostro compose le parole di questo ballo, che fu cosi: prima fece comporre il ballo a un perito di tale eser- cizio, divisandogli il modo dell’imitare i moti e i gesti che si sogliono fare nel giuoco ’della cieca’, molto ordinario. Fatto il ballo, fu messo in musica da Luzzasco, eccellentissimo musico de’ nostri tempi. Indi sotto le note dí quella musica il poeta fe’ le parole, il che cagionò la diversitá dei versi, ora di cinque sillabe, ora di sette, ora di otto, ora di undeci, secondo che gli conveniva servire alla necessitá delle note. Cosa che pareva impossibile, e, se egli non l’avesse fatta molte altre volte, con tanta maggiore difficoltá quant’egli negli altri balli non era padrone dell’in- venzione, come fu in questa, non si sarebbe forse creduto. Perciocché in detti balli non aveva una sola fatica, di metter le parole sotto le note, ma di trovar dai mo- vimenti del ballo invenzione che gli quadrasse e avesse viso di favola, cioè prin- cipio, mezzo e fine, traendola dalla confusa, casuale e inconsiderata maniera del ballo, si come si può vedere nelle parole di detti balli, fatte da lui nella cittá di Ferrara, per ubbidire allora a quel duca.»