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che qui si paga ogn’anno a la gran dea

de l’innocente sangue d’una ninfa
tributo miserabile e mortale?
Mirtillo. Unqua piú non l’udii: e ciò m’è nuovo,
ché nuovo ancora abitator qui sono
e, come vuol Amore e ’l mio destino,
quasi pur sempre abitator de’ boschi.
Ma qual peccato il meritò si grave?
Come tant’ira un cor celeste accoglie?
Ergasto. Ti narrerò de le miserie nostre
tutta da capo la dolente istoria,
che trar porria da queste dure querci
pianto e pietá, non che dai petti umani.
In quella etá che ’l sacerdozio santo
e la cura del tempio ancor non era
a sacerdote giovane contesa,
un nobile pastor chiamato Aminta,
sacerdote in quel tempo, amò Lucrina,
ninfa leggiadra a maraviglia e bella,
ma senza fede a maraviglia e vana.
Gradi costei gran tempo, o ’l mostrò forse
con simulati e perfidi sembianti,
del giovane amoroso il puro affetto
e di false speranze anco nudrillo,
misero! mentre alcun rivai non ebbe.
Ma, non si tosto (or vedi instabil donna!)
rustico pastorei l’ebbe guatata,
che i primi sguardi non sostenne, i primi
sospiri, e tutta al nuovo amor si diede,
prima che gelosia sentisse Aminta.
Misero Aminta, che da lei fu poscia
e sprezzato e fuggito si, ch’udirlo
né vederlo mai piú l’empia non volle.
Se piagnesse il meschin, se sospirasse,
pensai tu, che per prova intendi amore.
Mirtillo. Oimè, questo è’l dolor ch’ogn’altro avanza.