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conduce, non sia pastore, perciocché in due maniere il nome pastorale prender si può, o per l’uffizio o per la condizione. Quanto al primo, la proposizione è verissima che chi non pasce non è pastore; ma quanto alla seconda è falsa, conciosiacosaché chi comanda a pastori, può esser di condizione, se non d’uffi- cio, pastore. L’argomentar dal nome è quasi sempre opera vana. Ecco lo ’mperadore. Non fu egli nel tempo della romana re- pubblica dal comandare all’esercito cosi detto? il quale poi, per- duta la libertá di quel popolo, fu di signore e di monarca titolo glorioso, e oggi è passato alla sopranitá d’ogni gran- dezza e ordine temporale. Or chi dicesse: — L’ufficio dello ’m- peradore fu nel suo nascimento di solo comandare all’esercito: dunque oggi chi attualmente non comanda all’esercito non è imperadore, — sarebbe egli ben detto? Non altramenti chi dirá: — I pastori furon cosi chiamati dal pascer gregge: dunque chi non le pasce, non è pastore, — argomenterá con poco giudicio, perciocché spesse volte i nomi si ritengono e non gli uffici. Può esser per avventura che nel primordio del mondo, pastoral- mente vivendo, gli uomini tutti pascessero indifferentemente le gregge; ma in progresso di tempo, avendo essi bisogno e di governo e di capo, è molto verisimile che tra lor pullulasse la forma e ’l nome d’alcun governo, e che quella, quantun- que assai semplicemente in quel rozzo secolo, fosse anch’ella onorata col preservarla dall’uso di quel sordido ministerio, onde poi ne seguisse che ’l pascer degli armenti restasse cura, par- lando all’aristotelica, de’ peggiori e ’l governar de’ migliori. E, perché tutti, e migliori e peggiori, altra vita né conoscevano né menavano che quella prima lor pastorale, il nome di «pa- store» indifferentemente ritennero. Dall’esser dunque pastore non si può separare l’essere archimandrita o, come furon gli antichi ebrei, patriarca o profeta o capitano o principe o sa- cerdote, perciocché il predicato di «pastorale» non significa al- cuno ufficio il quale ora s’eserciti e ora no, ma la condizione di quella vita, nella quale, come s’è detto, chiunque ha una cotal dignitá, non la può separare dalla condizion della vita, per si fatta maniera che, a qualunque grado egli sia collocato