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gere affatto gli affetti tragici. E però l’una col dar buon fine a’ migliori e luogo principale a’ peggiori, l’altra col riso temperato e modesto fa le sue mescolanze di parti tragiche e comiche. E, come il riso non converrebbe alla doppia costituzione, con- ciosiacosaché, dov’egli è, non possa stare tragica forma, cosi il gastigo, che nella doppia a’ malfattori si dá, non conviene alla poesia tragicomica, nella quale, secondo ’l costume comico, i peggiori non si gastigano. Il che nasce, perciocché la doppia non vuole affatto corromper la forma tragica con quel tempe- ramento comico che riceve, si come nella tragicommedia in- terviene. Ha l’unae l’altra il pericolo e non la morte delle persone migliori; ma l’una tempera il terrore e la compassione per modo che purga poco; l’altra il risolve si fattamente che nulla purga: poiché, dove interviene il riso, non può esser terrore, e dove non è terrore, non può purgarsi il terrore, e dove non si purga il terrore, non può esser tragica forma. Ma, perciocché nella doppia costituzione interviene il diletto comico, e ciò conforme alla dottrina del buon maestro, potrebbe altri con gran ragione volere intendere come questo diletto si faccia in lei. Nasce, in poche parole, un cotal diletto dall’esito felice delle persone mi- gliori. Ma bisogna avvertire che cotesto non è assolutamente diletto comico per cagione dell’altro fine della medesima dop- pia, che dá gastigo a’ peggiori, conciosiacosaché la commedia per ordinario ami eziandio di dare a’ suoi peggiori prospero fine; ma è comico a paragone del tragico tragichissimo, pro- cedente da un solo funesto fine della persona migliore. Ciò si raccoglie dalle parole chiarissime del filosofo, il quale dice cosi: «eativ Òè oúx avrr| á.xò TpayipStas fjSovfj, á/.Àú páÀ/.ov rijs xa) pepò toc; otxeia. Cioè: «ma quel diletto non è della tragedia, ma è piú tosto proprio della commedia». Disse «piú tosto», non «assolutamente», quasi volesse dire: «non è in tutto diletto comico, ma sente piú del comico che del tragico». Ed hassi ancor da notare che, quando dice tpayaióiag, intende della perfetta, che da lui «tragichissima» vien chiamata, imperocché il fin lieto può essere anche della tragedia meno perfetta. Come, dunque, potrebbe qui replicarsi,