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La favella umana, maraviglioso dono d’Iddio, all’uomo fu conceduta perché potesse manifestarci sensi dell’animo, in modo che si può dire che lo ’ntelletto sia una muta favella e la favella un intelletto parlante, ciò che die’ materia ai nostri teologi di ordinare le due preghiere, che a Dio si porgono: l’una vocale, che si fa con la lingua; l’altra mentale, che si fa con lo spirito. Ora, essendo la lingua ministra dello’ntelletto, bisogna ch’ella il vada secondando e servendo, e si trasformi di si fatta ma- niera in lui, che quanto egli pensa, tanto ella parli, e quante cose l’uno può concepire, tante l’altra s’ingegni di bene espri- mere e partorire. E, tutto che queste siano infinite, niente di meno a duo capi famosissimi si riducono, imperocché tutto quello, che opera lo ’ntelletto e parla la lingua, bisogna che necessariamente o vero o verisimile sia. Lascio da parte il falso e ’l non verisi- mile, si perché lo ’ntelletto non l’ha per fine, come anche perché dalla cognizione del vero segue senza dubbio quella del falso, es- sendo, come dicono i filosofanti, che le contrarie cose, per esser d’una stessa natura, si conoscon l’una per l’altra. Ma che cosa è egli alfin questo vero? Niente altro che ’l concetto adeguato alla cosa intesa, il quale nello ’ntelletto si spoglia della materia e nella lingua si veste della favella. Questo vero è poi di due sorte, o contempiabile o eligibile. Il verisimile parimente è pur di due sorte, cioè probabile e imitabile. Da questi quattro, termini, «contempiabile», «eligibile», «probabile» e «imita-