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Montano. Ti pentirai ben tu, se non mi lasci

fornir l’ufficio mio.
Carino. In testimon ne chiamo uomini e dèi.
Montano. Chiami tu forse i dèi, ch’hai disprezzati ?
Carino. E, poi che tu non m’odi,
odami cielo e terra,
odami la gran dea che qui s’adora,
che Mirtillo è straniero
e che non è mio figlio, e che profani
il sacrificio santo.
Montano. (Il ciel m’aiti
con quest’uomo importuno).
Chi è dunque suo padre,
se non è figlio tuo?
Carino. Non tei so dire;
so ben che non son io.
Montano. Vedi come vacilli?
È egli del tuo sangue?
Carino. Né questo ancora.
Montano. E perché figlio il chiami?
Carino. Perché l’ho come figlio,
dal primo di ch’i’l’ebbi,
per fin a questa etá, sempre nudrito
ne le mie case e come figlio amato.
Montano. Il comprasti? il rapisti? onde l’avesti?
Carino. In Elide l’ebb’io, cortese dono
d’uomo straniero.
Montano. E quell’uomo straniero
donde l’ebb’egli?
Carino. A lui l’avea dat’io.
Montano. Sdegno tu movi in un sol punto e riso.
Dunque avesti tu in dono
quel che donato avevi?
Carino. Quel ch’era suo, gli diedi,
ed egli a me ne fe’ cortese dono.
Montano. E tu, poi ch’oggi a vaneggiar mi tiri,
onde avuto l’avevi?