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SCENA QUINTA

Montano, Carino, Dameta.

Montano. Ma tu, vecchio importuno,

ringrazia pur il del che padre sei;
se ciò non fosse, i’ ti farei (per questa
sacra testa tei giuro) oggi sentire
quel che può l’ira in me, poi che si male
usi la sofferenza.
Sai tu forse chi sono?
Sai tu che qui con una sola verga
reggo l’umane e le divine cose?
Carino. Per domandar mercede
signoria non s’offende.
Montano. Troppo t’ ho io sofferto, e tu per questo
se’ venuto insolente.
Né sai tu che, se l’ira in giusto petto
lungamente si coce,
quanto piú tarda fu, tanto piú nóce?
Carino. Tempestoso furor non fu mai l’ira
in magnanimo petto,
ma un fiato sol di generoso affetto,
che, spirando ne l’alma,
quand’ella è piú con la ragione unita,
la desta e rende a le bell’opre ardita.
Dunque, se grazia non impetro, almeno
fa’ che giustizia i’ trovi, e ciò negarmi
per debito non puoi,
ché chi dá legge altrui,
non è da legge in ogni parte sciolto,
e quanto se’ maggiore
nel comandar, tanto piú d’ubbidire
se’ tenut’anco a chi giustizia chiede.