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Montano. (Deh, come di pietá pur ora il petto

intenerir mi sento !
Che ’nsolito stupor mi lega i sensi !
Par che non osi il cor né la man possa
levar questa bipenne.)
Carino. (Vorrei prima nel viso
veder quell’infelice e poi partirmi,
ché non posso mirar cosa si fiera.)
Montano. (Chi sa che ’n faccia al sol, ben che tramonti,
non sia fallo il sacrar vittima umana,
e perciò la fortezza
languisca in me de l’anima e del corpo?)
Volgiti alquanto e gira
la moribonda faccia inverso il monte.
Cosi sta ben.
Carino. (Misero me! Che veggio?
Non è quello il mio figlio?
il mio caro Mirtillo?
Montano. (Or posso...)
Carino. (È troppo desso.)
Montano. (...e’1 colpo libro.)
Carino. Che fai, sacro ministro?
Montano. E tu, uomo profano,
perché ritieni il sacro ferro ed osi
di por tu qui la temeraria mano?
Carino. O Mirtillo, ben mio,
giá d’abbracciarti in si dolente guisa...
Nicandro. Va’in malora, insolente e pazzo vecchio!
Carino. ...non mi credev’io mai.
Nicandro. Scostati, dico,
ché con impura man toccar non lice
cosa sacra agli dèi.
Carino. Caro agli dèi
son ben anch’io, ché con la scorta loro
qui mi condussi.
Montano. Cessa,
Nicandro. Udiamlo prima, e poi si parta.