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ma non di padre infame;

e’nvece de la tua
piangerò la mia vita, oggi serbata
a veder in te spenta
la vita e l’onestate.
O Montano, Montano,
tu sol co’ tuoi fallaci
e mali intesi oracoli, e col tuo
d’Amore e di mia figlia
disprezzator superbo, a cotal fine
l’hai tu condotta. Ahi, quanto meno incerti
degli oracoli tuoi
son oggi stati i miei !
Ch’onestá contr’amore
è troppo frale schermo
in giovinetto core,
e donna scompagnata
è sempre mal guardata.
Messo. (Se non è morto o se per l’aria i venti
non Fhan portato, i’devrei pur trovarlo.
Ma eccol, s’io non erro,
quando meno il pensai).
O da me tardi e per te troppo a tempo,
vecchio padre infelice, allin trovato,
che novelle t’arreco!
Titiro. Che rechi tu ne la tua lingua? Il ferro
che svenò la mia figlia?
Messo. Questo non giá, ma poco meno. E come
l’hai tu per altra via si tosto inteso?
Titiro. Vive ella dunque?
Messo. Vive, e ’n man di lei
sta il vivere e ’l morire.
Titiro. Benedetto sii tu, che m’hai da morte
tornato in vita! Or come non è salva,
s’a lei sta il non morire?
Messo. Perché viver non vuole.