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quant’esse han piú di tutto quel dovizia
ond’è l’umanitá si nobil fregio;
ma vi trovai tutto ’l contrario, Uranio.
Gente di nome e di parlar cortese,
ma d’opre scarsa e di pietá nemica;
gente placida in vista e mansueta,
ma piú del cupo mar tumida e fèra;
gente sol d’apparenza, in cui se miri
viso di caritá, mente d’invidia
poi trovi, e ’n dritto sguardo animo bieco,
e minor fede allor che piú lusinga.
Quel, eh’altrove è virtú, quivi è difetto:
dir vero, oprar non torto, amar non finto,
pietá sincera, inviolabil fede,
e di core e di man vita innocente,
stiman d’animo vii, di basso ingegno,
sciocchezza e vanitá degna di riso.
L’ingannare, il mentir, la frode, il furto
e la rapina di pietá vestita,
crescer col danno e precipizio altrui
e far a sé de l’altrui biasmo onore,
son le virtú di quella gente infida.
Non merto, non valor, non riverenza
né d’etá né di grado né di legge,
non freno di vergogna, non rispetto
né d’amor né di sangue, non memoria
di ricevuto ben, né, finalmente,
cosa si venerabile o si santa
o si giusta esser può, ch’a quella vasta
cupidigia d’onori, a quella ingorda
fame d’avere inviolabil sia.
Or io, eh’incauto e di lor arti ignaro
sempre mi vissi e portai scritto in fronte
il mio pensiero e disvelato il core,
tu puoi pensar s’a non sospetti strali
d’invida gente fui scoperto segno.