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E ’n quella parte, ove la gloria alberga,

ben mi dovea bastar d’esser ornai
giunto a quel segno ov’aspirò il mio core,
se, come il ciel mi feo felice in terra,
cosi conoscitor, cosi custode
di mia felicitá fatto m’avesse.
Come poi per veder Argo e Micene
lasciassi Elide e Pisa, e quivi fussi
adorator di deitá terrena,
con tutto quel che ’n servitú soffersi,
troppo noiosa istoria a te l’udirlo,
a me dolente il raccontarlo fóra.
Ti dirò sol che perdei l’opra e’1 frutto.
Scrissi, piansi, cantai, arsi, gelai,
corsi, stetti, sostenni, or tristo or lieto,
or alto or basso, or vilipeso or caro,
e, come il ferro delfico, stromento
or d’impresa sublime, or d’opra vile,
non temei risco e non schivai fatica.
Tutto fei, nulla fui. Per cangiar loco,
stato, vita, pensier, costumi e pelo,
mai non cangiai fortuna. Alfin conobbi
e sospirai la libertá primiera,
e dopo tanti strazi, Argo lasciando
e le grandezze di miseria piene,
tornai di Pisa ai riposati alberghi,
dove, mercé di provvidenza eterna,
del mio caro Mirtillo acquisto fei,
consolator d’ogni passata noia.
Uranio. Oh mille volte fortunato e mille
chi sa por meta a’ suoi pensieri, in tanto
che, per vana speranza immoderata,
di moderato ben non perde il frutto !
Carino. Ma chi creduto avria di venir meno
tra le grandezze e impoverir ne l’oro?
I’ mi pensai che ne’ reali alberghi