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Coro.

Oh bella etá de l’oro,
quand’era cibo il latte
del pargoletto mondo e culla il bosco;
e i cari parti loro
godean le gregge intatte,
né temea il mondo ancor ferro né tosco !
Pensier torbido e fosco
allor non facea velo
al sol di luce eterna.
Or la ragion, che verna
tra le nubi del senso, ha chiuso il cielo,
ond’è che il peregrino
va l’altrui terra, e ’l mar turbando il pino.
Quel suon fastoso e vano,
quell’inutil soggetto
di lusinghe, di titoli e d’inganno,
ch’«onor» dal volgo insano
indegnamente è detto,
non era ancor degli animi tiranno.
Ma sostener affanno
per le vere dolcezze;
tra i boschi e tra le gregge
la fede aver per legge,
fu di quell’alme, al ben oprar avvezze,
cura d’onor felice,
cui dettava Onestá: «Piaccia, se lice».
Allor tra prati e linfe
gli scherzi e le carole,
di legittimo amor furon le faci.
Avean pastori e ninfe
il cor ne le parole;
dava lor Imeneo le gioie e i baci
piú dolci e piú tenaci.