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Accogliesti i singulti

primi del mio natale;
accorrai tu fors’anco
gli ultimi de la morte,
e coteste tue braccia, che, pietose,
mi fur giá culla, or mi saran ferètro.
Linco. O figlia, a me piú cara
che se figlia mi fussi, io non ti posso
risponder, ché ’1 dolore
ogni mio detto in lagrime dissolve.
Silvio. (O terra, ché non t’apri e non m’inghiotti?)
Dorinda. Deh ! ferma il passo e ’l pianto,
pietosissimo Linco,
ché l’un cresce il dolor, l’altro la piaga.
Silvio. (Ahi! che dura mercede
ricevi del tuo amor, misera ninfa.)
Linco. Fa’ buon animo, figlia,
ché la tua piaga non sará mortale.
Dorinda. Ma Dorinda mortale
sará ben tosto morta.
Sapessi almen chi m’ha cosi piagata!
Linco. Curiam pur la ferita e non l’offesa,
ché per vendetta mai non sanò piaga.
Silvio. (Ma che fai qui? che tardi?
Soffrirai tu ch’ella ti veggia? avrai
tanto cor, tanta fronte?
Fuggi la pena meritata, Silvio,
di quella vista ultrice;
fuggi il giusto coltei de la sua voce.
Ah ! che non posso; e non so come o quale
necessitá fatale
a forza mi ritegna e mi sospinga
piú verso quel che piú luggir devrei.)
Dorinda. Cosi dunque debb’io
morir senza saper chi mi dá morte?
Linco. Silvio t’ha dato morte.