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e cosi nume in terra

de l’anime piú belle,
come lume del cielo
piú bel de l’altre stelle!
Quanto son piú lodevoli e sicuri
de’ cari amici tuoi l’opre e gli studi,
che non son quei degl’infelici servi
di Venere impudica!
Uccidono i cignali i tuoi devoti;
ma i devoti di lei miseramente
son dai cignali uccisi.
O arco, mia possanza e mio diletto;
strali, invitte mie forze;
or venga in prova, venga
quella vana fantasima d’Amore
con le sue armi effeminate; venga
al paragon di voi,
che ferite e pungete.
Ma che? troppo t’onoro,
vii pargoletto imbelle;
e, perché tu m’intenda,
ad alta voce il dico:
la ferza a gastigarti
sola mi basta. — Basta. —
Chi se’ tu che rispondi ?
Eco, o piú tosto Amor, che cosi d’Eco
imita il sono? — Sono. —
A punto i’ ti volea; ma dimmi: certo
se’ tu poi desso? — Esso. —
Il figlio di colei che per Adone
giá si miseramente ardea? — Dea. —
Come ti piace, su! di quella dea
concubina di Marte, che le stelle
di sua lascivia ammorba
e gli elementi? — Menti. —
Oh, quanto è lieve il cinguettare al vento