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S’io fossi un fiero can, come son Lineo,

mal grado tuo t’avrei
troppo ben conosciuta.
Oh, che veggio? oh, che veggio?
Dorinda. Un affetto d’amor tu vedi, Lineo,
un effetto d’amare
misero e singolare.
Linco. Una fanciulla, come tu, si molle
e tenerella ancora,
ch’eri pur dianzi, si può dir, bambina;
e mi par che pur ieri
t’avessi tra le braccia pargoletta,
e, le tenere piante
reggendo, t’insegnassi
a formar «babbo» e «mamma»,
quando ai servigi del tuo padre i’ stava;
tu che qual damma timida solevi,
prima eh’amor sentissi,
paventar d’ogni cosa
ch’a lo ’mprovviso si movesse; ogn’aura,
ogn’augellin che ramo
scotesse, ogni lucertola che fuori
de la fratta corresse,
ogni tremante foglia
ti facea sbigottire;
or vai soletta errando
per montagne e per boschi,
né di fèra hai paura né di veltro?
Dorinda. Chi è ferito d’amoroso strale,
d’altra piaga non teme.
Linco. Ben ha potuto in te, Dorinda, amore,
poi che di donna in uomo,
anzi di donna in lupo ti trasforma.
Dorinda. Oh! se qui dentro, Linco,
scorger tu mi potessi,
vedresti un vivo lupo,