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venientemente adoperato. Recentemente ne fu fatto commercio e sempre con incerto guadagno per ispesa del trasporto. Lungo il percorso cammino leggonsi molti nomi e date, incisi sulle pareti, e disegnati col fumo della candela sul soffitto.
Dal salone delle nottole si prosegue per lungo tratto a discendere; a poco a poco diminuiscono le traccie dei pipistrelli e le iscrizioni. Continua l’incomoda discesa indi si ascende. Le stalattiti si vedono più spesse, più colossali e belle; la strada comincia a restringersi, ogni segno di animale vivente scompare. Il custode ci annunziò che egli più innanzi non era mai penetrato, e che in questo punto era giunto solo un anno fa in compagnia di un francese che desiderò visitare quei luoghi. Io sentiva che ancora si respirava bene e che pericoli non vi potevano essere andando innanzi, seppure fosse stato possibile. Esaminando la località mi fu dato rinvenire una fessura, vi cacciai la torcia per misurarne la profondità, e visto che metteva ad un nuovo antro praticabile, mi vi lasciai cadere. Disgraziatamente l’occhio erasi ingannato, le mie gambe erano molto più corte di quello che sarebbe stato necessario e caddi facendomi una distorsione al ginocchio, la quale sul momento mi dette poca molestia. La grotta era angusta e conveniva procedere carponi. I compagni e per primo Nicoletti mi seguirono. La corrente dell’aria cominciava a indebolirsi, segno evidente che si era prossimi al fondo. Un sudore copioso ci copriva la fronte, e riescendo affannosa la respirazione in causa ancora del fumo delle torcie a vento, ordinai che si spegnessero subito, e si accendessero invece candele di cera, tenendo sempre pronti i fiammiferi. Sembrò non garbar tanto l’ordine a mio nipote, ma ubbidì. Questo veramente fu un istante poco piacevole, trovandoci fra quell’orrido quasi al buio. Proseguimmo a camminare carponi finchè ci trovammo a capo della via.