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i934_I935: letteratura popolare 2113 § (4). Il pubblico e la letteratura italiana. In un articolo pubblicato dal «Lavoro» e riportato in estratti dalla «Fiera Letteraria» del 28 ottobre 1928, Leo Ferrerò scrive: «Per una ragione o per l’altra si può dire che gli scrittori italiani non abbiano più pubblico. (...) Un pubblico infatti vuol dire un insieme di persone, non soltanto che compra dei libri, ma soprattutto che ammira degli uomini. Una letteratura non può fiorire che in un clima di ammirazione e l'ammirazione non è, come si potrebbe credere, il compenso, ma lo stimolo del lavoro. (... ) Il pubblico | che ammira, che ammira davvero, di cuore, con gioia, il pubblico che ha la felicità di ammirare (niente è più deleterio dell’ammirazione convenzionale) è il più grande animatore di una letteratura. Da molti segni si capisce ahimè che il pubblico sta abbandonando gli scrittori italiani» \ L’«ammirazione» del Ferrerò non è altro che una metafora e un «nome collettivo» per indicare il complesso sistema di rapporti, la forma di contatto tra una nazione e i suoi scrittori. Oggi questo contatto manca, cioè la letteratura non è nazionale perché non è popolare. Paradosso del tempo attuale. Inoltre non c’è una gerarchia nel mondo letterario, cioè manca una personalità eminente che eserciti una egemonia culturale. Quistione del perché e del come una letteratura sia popolare. La «bellezza» non basta: ci vuole un determinato contenuto intellettuale e morale che sia l’espressione elaborata e compiuta delle aspirazioni più profonde di un determinato pubblico, cioè della nazione-popolo in una certa fase del suo sviluppo storico. La letteratura deve essere nello stesso tempo elemento attuale di civiltà e opera d’arte, altrimenti alla letteratura d’arte viene preferita la letteratura d’appendice che, a modo suo, è un elemento attuale di cultura, di una cultura degradata quanto si vuole ma sentita vivamente. Cfr Quaderno i (xvi), pp. 64 - 64 bis. § ( 5 ). Concetto di «nazionale-popolare». In una nota della «Critica Fascista» del i° agosto 1930 si lamenta che