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I4I4 QUADERNO II (XVIIl) be visto nulla perché il suo spirito non poteva aver avuto il tempo di «creare» la realtà (o qualcosa di simile: il brano del Tolstoi è caratteristico e molto interessante letterariamente)3. Così nelle sue Linee di filosofia critica (p. 159) Bernardino Varisco scrive: «Apro un giornale per informarmi della realtà; vorreste sostenere che le novità le ho create io con l’aprire il giornale? » \ Che il Tolstoi desse alla proposizione soggettivistica un significato così immediato e meccanico può spiegarsi. Ma non è stupefacente che in tal modo possa aver scritto il Varisco, il quale, se oggi si è orientato verso la religione e il dualismo trascendentale, tuttavia è uno studioso serio e dovrebbe conoscere la sua materia? La critica del Varisco è quella del senso comune ed è notevole che proprio tale critica è trascurata dai filosofi idealisti, mentre invece essa è di estrema importanza 31 bis per impedire la diffusione di un modo di pensare | e di una cultura. Si può ricordare un articolo di Mario Missiroli nel- 1*«Italia Letteraria» in cui il Missiroli scrive che si troverebbe molto imbarazzato se dovesse sostenere, dinanzi a un pubblico comune e in contradditorio con un neoscolastico, per esempio, il punto di vista soggettivistico: il Missiroli osserva quindi come il cattolicismo tende, in concorrenza con la filosofia idealista, ad accaparrarsi le scienze naturali e fisiche5. Altrove il Missiroli ha scritto prevedendo un periodo di decadenza della filosofia speculativa e un sempre maggior diffondersi delle scienze sperimentali e «realistiche» 6 (in questo secondo scritto, però, pubblicato dal «Saggiatore», egli prevede anche un’ondata di anticlericalismo, cioè non pare creda più all’accaparramento delle scienze da parte del cattolicismo). Cosi è da ricordare nel volume di Scritti vari di Roberto Ardigò, raccolto e ordinato da G. Marchesini (Lemonnier, 1922) la «polemica della zucca»: in un giornaletto clericale di provincia, uno scrittore (un prete della Curia vescovile) per squalificare l’Ardigò di fronte al pubblico popolare lo chiamò su per giù «uno di quei filosofi i quali sostengono che la cattedrale (di Mantova o di altra città) esiste solo perché essi la pensano e quando essi non la pensano più, la cattedrale sparisce ecc.», con aspro risentimento dell’Ardigò che era positivista ed