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1412 QUADERNO II (xVIIl) «credenza» e quale valore critico ha «obbiettivamente»? Infatti questa credenza è di origine religiosa, anche se chi vi partecipa è religiosamente indifferente. Poiché tutte le religioni hanno insegnato e insegnano che il mondo, la natura, l'universo è stato creato da dio prima della creazione dell'uomo e quindi l’uomo ha trovato il mondo già bell'e pronto, catalogato e definito una volta per sempre, questa credenza è diventata un dato ferreo del « senso comune » e vive con la stessa saldezza anche se il sentimento religioso è spento o sopito. Ecco allora che fondarsi su questa esperienza del senso comune per distruggere con la «comicità» la concezione soggettivistica ha un significato piuttosto «reazionario», di ritorno implicito al sentimento religioso; infatti gli scrittori o gli oratori cattolici ricorrono allo stesso mezzo per ottenere lo stesso effetto di ridicolo corrosivo. Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l’autore del Saggio popolare implicitamente risponde a questo appunto (che è poi di carattere esterno, sebbene abbia la sua importanza) notando che il Berkeley, al quale si deve la prima enunziazione compiuta della concezione soggetta tivistica, era | un arcivescovo (quindi pare si debba dedurre l’origine religiosa della teoria) e poi dicendo che solo un « Adamo » che si trova per la prima volta nel mondo, può pensare che questo esista solo perché egli lo pensa (e anche qui si insinua l'origine religiosa della teoria, ma senza molto o nessuno vigore di convinzione) \ Il problema invece è questo, mi pare: come si può spiegare che una-tale concezione, che non è certo una futilità, anche per un filosofo della praxis, oggi, esposta al pubblico, possa solo provocare il riso e lo sberleffo? Mi pare il caso più tipico della distanza che si è venuta formando tra scienza e vita, tra certi gruppi di intellettuali, che pure sono alla direzione «centrale» dell'alta coltura e le grandi masse popolari: e come il linguaggio della filosofia sia diventato un gergo che ottiene lo stesso effetto di quello di Arlecchino. Ma se il «senso comune» si esilara, il filosofo della praxis dovrebbe lo stesso cercare una spiegazione e del reale significato che la concezione ha, e del perché essa sia nata e si sia diffusa tra gli intellettuali, e anche del perché essa faccia ri-