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1929-1930: primo quaderno | 37 |
Mezzogiorno e rendeva difficile la corruzione individuale (troppi da corrompere!). Giolitti muta «partenaire»: al blocco «urbano» sostituisce il patto Gentiloni [o meglio lo rafforza per impedirne il completo crollo], cioè, in definitiva un blocco tra gli industriali settentrionali e i rurali della campagna «organica e normale» (forze elettorali cattoliche specialmente nel Nord e nel Centro)*, con estensione degli effetti anche nel Sud nella misura immediatamente sufficiente per «rettificare» utilmente gli effetti dell’allargamento della massa elettorale.
L’altro programma è quello che si può chiamare del «Corriere della Sera» o di Albertini e può essere fatto coincidere con una alleanza degli industriali settentrionali (con a capo i tessili, cotonieri, setaioli libero scambisti) coi rurali meridionali (blocco rurale): il «Corriere» ha sostenuto Salvemini a Molfetta (campagna Ojetti)*, ha sostenuto il ministero Salandra, ha sostenuto il ministero Nitti, cioè i primi due ministeri formati ❘27 da meridionali (i siciliani sono da considerarsi a parte)*.
Il suffragio universale già nel 1913 aveva suscitato i primi accenni di quel fenomeno che avrà la massima espressione nel 19-20-21 in conseguenza dell’esperienza politica[-organizzativa] acquistata dalle masse contadine durante la guerra, cioè la rottura relativa del blocco rurale meridionale e il distacco dei contadini guidati da una parte degli intellettuali (ufficiali in guerra) dai grandi proprietari: si ha il sardismo, il partito riformista siciliano (gruppo Bonomi con 22 deputati siciliani) e il «rinnovamento» nell’Italia meridionale con tentativi di partiti regionali d’azione (rivista «Volontà» col Torraca, «Popolo romano» ecc.)*. In questi movimenti l’importanza della massa contadina è graduata dalla Sardegna, al Mezzogiorno, alla Sicilia a seconda della forza organizzata e della pressione esercitata ideologicamente dai grandi proprietari, che hanno in Sicilia un massimo di organizzazione e hanno invece una importanza relativamente piccola in Sardegna. Altrettanto graduata è l’indipendenza relativa dei rispettivi intellettuali*.
Per intellettuali occorre intendere non [solo] quei ceti comunemente intesi con questa denominazione, ma in generale tutta la massa sociale che esercita funzioni organizzative in senso lato, sia nel campo della produzione, sia nel campo della cultura, sia nel campo amministrativo-politico: corrispondono ai sott’ufficiali e agli ufficiali subalterni nell’esercito (e anche a una parte degli ufficiali superiori con esclusione degli stati maggiori nel senso più ristretto della parola).
Per analizzare le funzioni sociali degli intellettuali occorre ricercare ed esaminare il loro atteggiamento psicologico verso le grandi classi che essi mettono a contatto nei diversi campi: hanno atteggiamento «paternalistico» verso le classi strumentali? o «credono» di esserne una espressione organica? hanno atteggiamento «servile» verso le classi dirigenti o si credono essi stessi dirigenti, parte integrante delle classi ❘27 bis dirigenti?
Nella storia del Risorgimento il così detto Partito d’Azione aveva