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34 | quaderno i (xvi) |
co delle idee e dello storico dello sviluppo sociale. Il lavoro educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l’elaborazione di una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base storica che contenga le premesse materiali a questa elaborazione, non può limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principi «chiari» di metodo; questa sarebbe pura azione «illuministica». Il lavoro necessario è complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e l’induzione combinate, l’identificazione e la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non in astratto, in concreto: sulla base del reale. Ma come sapere quali sono gli errori radicati o più generalmente diffusi? Evidentemente è impossibile una «statistica» dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, che dia un quadro organico e sistematico: non rimane che la revisione della letteratura più diffusa e più popolare combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche precedenti, ognuna delle quali «può» aver lasciato un sedimento, variamente combinatosi con quelli precedenti e susseguenti.
In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce un criterio più generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze, nelle opinioni, non avvengono per «esplosioni» rapide e generalizzate, avvengono per lo più per «combinazioni successive» secondo «formule» disparatissime. L’illusione «esplosiva» nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei metodi di trazione, dalla diligenza a trazione animale, agli espressi moderni elettrici, ma si è passati attraverso una serie di «combinazioni intermedie» che in parte ancora sussistono (come la ❘24 bis trazione animale su rotaie ecc. ecc.) e come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti viene ancora utilizzato per molti anni in Cina e vi rappresenta un progresso tecnico — così nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano variamente e ciò che è diventato «ferravecchio» nella città è ancora «utensile» in provincia. Nella sfera della coltura anzi, le «esplosioni» sono ancora meno frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica.
Si confonde l’esplosione «di passioni» politiche accumulate in un periodo di trasformazioni tecniche alle quali non corrispondono adeguate nuove forme di organizzazione giuridica con le sostituzioni di nuove forme di cultura alle vecchie.
L’accenno al fatto che talvolta ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia può essere utilmente svolto*. I rapporti tra popolazione urbana e popolazione rurale non sono sempre gli stessi. Bisogna determinare i «tipi» di urbano e di rurale. Si verifica il paradosso che il tipo rurale sia più progressivo del tipo urbano. Una città «industriale» è sempre più progressiva della campagna che ne dipende. Ma in Italia non tutte le città sono «industriali» e sono meno ancora le città «tipicamente» industriali. Le «cento» città italiane. In Italia l’urbanesimo non è solo e nemmeno «specialmente» un fenomeno industriale. La più grande città italiana, Napoli, non è una città industriale. Tuttavia anche in queste città esistono nuclei di popolazione tipicamente urbana. Ma qual è la loro