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1930: (miscellanea) simo politico, ecc. ma l’affermazione non diventa mai rappresentazione storica concreta: per «chiarezza del discorso si omette». Il significato della spedizione nella Crimea e della capacità politica di Cavour nell’averla voluta, è omesso per «chiarezza»). Il profilo di Napoleone III è impagabile di sguaiataggine, ma non si spiega perché Napoleone abbia collaborato con Cavour. Bisognerebbe citare troppo e in fondo ne vale poco la pena. Se dovessi scrivere suU’argomento bisognerebbe però rivedere il libro (se sarà pubblicato) o l’annata della «Italia letteraria». « Al Museo napoleonico in Roma c’è un prezioso pugnale con una lama che può passare il cuore» (non è un pugnale comune, a quanto pare!). «Può questo pugnale servire per documento? Di pugnali io non ho esperienza, ma sentii dire quello essere il pugnale carbonaro che si affidava a chi entrava nella setta tenebrosa ecc. ». (Il Panzini deve sempre essere stato ossessionato dai pugnali: ricordare la «livida lama » della Lanterna di Diogene7. Deve essersi trovato in Romagna per caso in qualche torbido e aver visto qualche paia d’occhi guatarlo biecamente: onde le «livide lame» che possono passare il cuore ecc.). « E chi volesse vedere come | la setta Carbonara assumesse l’aspetto 20 bis di Belzebù, legga il romanzo L Ebreo di Verona di Antonio Bresciani, e si divertirà ( ! sic) un mondo, anche perché, a dispetto di quel che ne dicono i moderni, quel padre gesuita fu un potente narratore»8. (Questo brano si potrebbe porre come motto al saggio sui nipotini di padre Bresciani: è nella puntata terza della Vita di Cavour nell’«Italia letteraria» del 23 giugno 1929). Tutta la Vita di Cavour è una beffa della storia. Se le vite romanzate sono la forma attuale della letteratura amena tipo Alessandro Dumas, Panzini è il nuovo Ponson du Terrail. Panzini vuole così ostentatamente mostrare di «saperla lunga» sul modo di procedere degli uomini, di essere un cosi furbissimo realista, che viene la voglia, a leggerlo, di rifugiarsi in Condorcet o in Bernardino di Saint-Pierre, che almeno non sono cosi filistei. Nessun nesso storico è ricostruito nel fuoco di una personalità; la storia è un seguito di storielle divertenti senza nesso né di personalità né di altre forze sociali: è veramente una nuova forma di gesuitismo, molto più accentuata di quanto io stesso avessi creduto leggendo la Vita a puntate. Si potrebbero contrapporre al luogo comune della « nobiltà guerriera e non da anticamera » i giudizi che poi si danno volta per volta sui singoli generali: La Marmora, Della Rocca, talvolta con parole di scherno incosciente. «Della Rocca è un guerriero. A Custoza, 1866, non brillerà per troppo valore, ma è un ostinato guerriero e perciò tien duro coi bollettini». (È proprio una frase da giornale umoristico tipo «Asino». Della Rocca non voleva mandare più ì bollettini dello Stato Maggiore a Cavour che ne aveva notato la cattiva compilazione letteraria, alla quale collaborava il re). (Altre allusioni del genere per La Marmora e per Cialdini - anche se Cialdini non fu piemontese -, e non è detto un nome di generale piemontese che abbia brillato: altro accenno a Persano).