Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, I.djvu/118

1929-1930: PRIMO QUADERNO 111

dei capi che alla capacità militare congiungono la capacità politica. Questo è il caso di Cesare e di Napoleone; ma in Napoleone s’è visto come il mutamento di politica, coordinato alla presunzione di avere uno strumento militare astrattamente militare, abbia portato alla sua rovina: cioè anche in questi esempi di direzione politica e militare unite in una stessa persona, la politica era superiore alla direzione militare. I libri di Cesare, ma specialmente il De bello civili, sono un classico esempio di esposizione di una sapiente combinazione di politica e arte militare: i soldati vedevano in Cesare non solo un grande capo militare, ma anche un grande capo politico.

Ricordare che Bismarck sosteneva la supremazia del politico sul militare, mentre Guglielmo II, secondo quanto riferisce Ludwig1, annotò rabbiosamente un giornale in cui o l’opinione di Bismarck era riportata o si esprimeva un’opinione simile. Così i tedeschi vinsero brillantemente quasi tutte le battaglie, ma perdettero la guerra.


§ ⟨118⟩ Il problema dei volontari nel Risorgimento. C’è una tendenza a supervalutare l’apporto delle classi popolari al Risorgimento, insistendo specialmente sul fenomeno del volontariato (vedi articolo del Rota nella «Nuova Rivista Storica» per es.)2. A parte il fatto che da questi articoli appare che i volontari erano mal visti dalle autorità piemontesi, ciò che appunto conferma la cattiva direzione politico-militare, è in ogni modo da osservare che c’è supervalutazione. Ma questo problema del volontariato pone più in luce la deficienza della direzione politico-militare. Il governo piemontese poteva arruolare obbligatoriamente soldati nel suo territorio statale, in rapporto alla sua popolazione, come l’Austria poteva farlo nel suo territorio e in rapporto alla sua popolazione enormemente più grandi: una guerra a fondo in questi termini, sarebbe sempre stata disastrosa per il Piemonte dopo un certo tempo. Posto il principio che l’«Italia fa da sé» bisognava o accettare la Confederazione tra eguali con gli altri Stati italiani, o proporsi l’unità politica territoriale su una tale base politica popolare che le masse fossero insorte contro gli altri governi e avessero costituito eserciti volontari che fossero accorsi accanto ai piemontesi. Ma appunto qui è la quistione: che non si può pretendere entusiasmo, spirito di sacrifizio ecc. su un programma astratto e per fiducia generica in un governo lontano. Questo è stato il dramma del 48, ma non si può inveire contro il popolo: la responsabilità è dei moderati e forse più ancora del Partito d’Azione, cioè in fondo della scarsissima efficienza della classe dirigente.

  1. Cfr Quaderno 19 (X), pp.112-14
  2. Cfr Quaderno 19 (X), pp.114-15