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86 parte seconda — cap. iv


In altri invece la forma ière è poco usata, come nocchière per nocchièro. In verso, e specialmente in rima, vi è molta libertà nell’uso delle due forme.

Altri esempii sono scoláre più usato che scoláro; desíre per desíro voci poetiche, póme antiq. per pómo, stíle invece del poetico stílo.


§ 9. Se il singolare termina in -ío, nel plurale si mettono sempre due i. P. es. oblío, oblíi; calpestío, calpestíi.

Se il singolare termina in io (senza accento), allora, per regola generale, si mettono nel plurale due i. P.es. Fábio, Fábii; stúdio, stúdii; òlio, òlii; prèmio, prèmii; demònio, demònii; contrário, contrárii; Cássio, Cássii; sávio, sávii; giudízio, giudízii.

Si eccettuano que’ casi ne’ quali al plurale manca affatto l’iato, perchè la prima i entra nella pronunzia della consonante precedente (vedi Parte I, cap. v, § 2). I plurali dunque dei nomi terminati in -cio, -gio, -chio, -ghio, -glio conservano una sola i, ponendone due soltanto quando vi fosse rischio d’equivoco. Quindi da láccio, lácci; da rággio, rággi; da òcchio, òcchi; da rágghio, rágghi; da fíglio, fígli. Ma si scrive benefícii per non confonderlo con benèfici; e giudícii per non iscambiarlo con giúdici. Le due i, possono, quando la rima lo richieda, contrarsi in una sola i, assumendo il circonflesso. P. es. várî, stúdî, rosòlî.

Se il singolare termina in jo, il plurale esce in j che si pronunzia come i. P.es. librájo, libráj; cuòjo, cuòj.

I cognomi personali derivati da un nome in io o jo si scrivono sempre con una sola i. P. es. Pancrázi (con z semplice), Protonotári, Sávi, Bicchierái, Panerái.