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464 £ se alcan dubitasse della mia intensione nel pubblicare questi miei sentimenti, oda quel cbe scrissi un anno Ci a Monsignor Azzocchi, uno de’ migliori nostri letterati. Monsignor Rev. Qualunque volta mi vien conosciuto uno a me onoTO promotore del buono stile antico italiano, io veramente mi rallegro meco medesimo assai per lo gran bene che ne deriva alla comune nostra patria; però che la meschina letteratura della parte contraria, se letteratura quella si può chiamare, non ad altro conduce la gioventù che a leggere scipiti romanzi e melliflue poesie, allor che si mettono al letto, per addormentarsi, lasciando la mente loro del tutto rota di utili conoscenze, e quindi morta alla vera vita; laddove r&ltra, per l’esperienza ch*io ne ho fatto con me medesimo, di aspro e difficile accesso al primo, come uno la comincia a gustare, lo rimuove a poco a poco da^sciocchi usi di quelli che mai non fur vivi, de* quali pur troppo la misera Italia abbonda, lo avvalora, gì* infonde nel cuore amore alla virtù, e gli apre una via senza fine a dilettevole speculazione • Onde non v* è dubbio che, quanto più saraano gì* invitatori a questo convito, tanto maggiore sarSi il numero di quelli che vi concorreranno, e farasst Tltalia di molto migliore. Questa effusion del cuore, Monsignore, mi spinge fuori della bocca la sua bella traduzione delle favole di Fedro;e in una lettera che io scrissi a Parigi alcuni giorni sono, citai le sue parole: Che ora non ci potrà essere se non gualche sciocco e superbo scolaretto che osi disprezzare ^el che si loda e si ammira da tutti. Io spero che V. S. R«mi scuserà se io la chiamo uno a me nuos^o promotore; perciò che, da che cominciai a studiare i classici, che sono 17. anni, infine ad ora, io non ne spesi in Italia più di tre