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463 sto, assuefacendolo a pascersi solo di sonori e ampollosi vocaboli* Io feci adesso uno sforzo grande per rileggere tutto il Filippo; e per quello che a me ne pare, la cetra del nostro Tragico non ha che una sol corda, la medesima monotonia dal principio insino alla fine. Ora io mi sento far intorno un grande abbaiare, come li cani addosso al poverello, gridandosi che io son nemico alla patria mia, quando io cerco di abbassare in questo modo i nostri autori; ma cosi sempre avvenne che si chiamassero nemici alla patria coloro che non si riguardarono, per amor del bene di quella, di dire anche verità acerbe e dispiacevoli* Io dico dunque come Quintiliano di Seneca, non già che scabbia a cacciare 1* Alfieri dalle scene o il Metastasio, quando non ne sorgano de’ migliori di loro; anzi dico che le loro opere sono oro forbito in su* teatri, a fronte delle stomachevoli commedie tradotte dal francese che ora ci si odono, ultima peste della lingua; ma io consiglio, a coloro che voglian coltivar Tingegno, e sentano desiderio di gloria, che più alto devon mirare per cogliere nel segno. Se TAlfieri, come il dice egli, dovette’ fare studio de* classici dopo ch*egli ebbe già cominciato a scrivere, e s* accorse allora che non avea stile: Ma dovendo io pure scrisfere in lingua toscana^ di cui era presso che alf abbic-ci; bisogna che voi, o giovani, vi facciate a studiare quei modelli che egli studiò; e in piì^ che forse non fece egli; che, se la natura v* ha dato piii ingegno che a lui, e se sludierete lo stile prima di mettervi a scrivere, potreste far meglio di lui. La sua prosa poi, nella vita ch’egli ci lasciò di se medesimo, e così gallicamente scritta, che a petto di quella T Antipurismo è elegante. Ora, meglio non potrei dire della poesia del Melastasio»