↑Questa persona si trova negli autori terminante anche in i. Spesso si erra, pure in Toscana, nell’uso della terza persona del singolare imperativo dei verbi in ere, e per conseguenza nella prima e terza del presente congiuntivo, col dare a quelle la desinenza in i; per la ragione che i verbi in are appunto terminano detta persona in i, e la seconda del congiuntivo dei verbi in ere ha le due forme, in a e in i. Ben si dice (ella) pigli da pigliare; ma (ella) prenda e non prendi da prendere; benché si possa dire bisogna che tu prendi. Che fa se ne trovi anche nel Boccaccio? Dio non voglia ch’io SOFFERI che mio marito sia seppellito a guisa d’un cane. B. Io dico che non è da imitarsi per non confondere ogni cosa. Un esempio cotale lo trovo in una lettera del Giordani al Monti: O siano fasti consolari, o minori che SEGUINO i giorni vietati al pretore, ecc.; dove è detto seguino in luogo di seguano. Altri fanno l’errore contrario, cioè di terminare in a i verbi in are; per esempio, bisogna che io canto, che io suona, in luogo di canti e suoni.
↑Il Galateo del Casa dice: Questo vi manda significando il vescovo, e pregandovi che voi v’INGEGNIATE del tutto di rimuoverne. In una edizione trovai ingegnate, senza la i, per errore di stampa; però che alla seconda persona plurale del presente congiuntivo, ai verbi che finiscono in gnare, non si può levare la i; e bisogna dire ingegniate, vergogniate, guadagniate; come è necessario protrarre le vocali delle sillabe cia e gia in procacciamo, procacciate, adagiamo, adagiate, nell’imperativo e nel congiuntivo, alquanto più lunghe che nelle stesse forme che appartengono all’indicativo. Uno error romanesco è quello di dire vi prego che m’aspettate, in luogo di aspettiate.
↑Questo può essere imperfetto di tempo futuro, e di tempo passato; e si chiama imperfetto, non tanto per il tempo indeterminato che esprime, quanto per l’incertezza del caso.