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apparassero; onde, nel conversare ancor co’ plebei, non si poteva apprendere se non vocaboli e modi italiani; laddove adesso, pochi son coloro i quali, o bene o male, non le sappiano; e tanto che basti a guastare di continuo la lingua propria con voci e locuzioni strane. Se allora di mille uno usciva del suo paese, adesso li dieci in cento, e forse più, corrono il mondo; e in molto maggior proporzione siam noi visitati dalle altre nazioni; il perchè sciocca presunzione sarebbe, pure in un toscano, poichè Toscana è frequentata dagli stranieri più d’ogni altra parte d’Italia, il credere di saper parlare e scrivere in buona e pura lingua, solo per esser nato e cresciuto in su le rive d’Arno. Qualunque voglia scrivere in italiano, si persuada oramai che la purità della lingua non si succia più col latte in verun luogo d’Italia; e che non è più impresa da ognuno, sia egli pur fornito d’idee e di pensieri, quando non abbia ancora onde vestirli; ma gli è il frutto d’assidui, lunghi, e instancabili studii; e però non cosa da troppo giovane uomo; e questa lingua non s’ha a studiare ne’ vocabolarj, sì nella costante lettura dei classici e con la grammatica. La cagion principale della corruzione del nostro idioma ho dimostrato evidentemente, in un altro manifesto che feci precedere alla pubblicazione di una grammatica inglese, essere i libri ne’ quali si studiano le lingue straniere; e come che paia che questa non dovesse avere influenza alcuna ne’ letterati; pure ognuno concederà che, se per li più si parla e si scrive uno stile ripieno di barbarismi, chi studia non potere acquistare, nella con-