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Che la vera e più bella lingua italiana sia quella degli autori del Trecento, credo che oramai tra i pochi, dei quali solo io desidero l’approvazione, non ne sia più alcun dubbio; come che nulla sarebbe il mio dire, a quello che si è già pubblicato a questo proposito da Biagioli, da Cesari, Monti, Perticari, e tanti altri valorosi sostenitori della gloria nostra. Di quella dunque io m’accingo ad esporre le regole grammaticali, e la filosofia; perchè colui scriverà meglio, che più studierà in quegli autori; e quando dico lingua italiana, intendo della toscana, e viceversa; non facendo io alcuna differenza fra questi due vocaboli.

,,1 Quelli che discesi di monte Asinaio, o usciti di qualche locanda, sia pur di Siena anche o di Roma, e dietro la carretta di qualche mylord, fattisi portare in Francia o in Inghilterra, quivi si spacciano per professori di lingua italiana, meriterebbero la scuriada di que’ demon crudi di Malebolge, che facesse lor levar le berze e ricorrere a casa; però che, non essendo da loro il potere, non che sentir l’essenza delle bellezze eterne dei nostri classici, ma pur fiutar di che sappiano, vanno gridando questi esser cose rance e antiquate che più non si leggono da niuno, per tema che gli sciocchi che a lor ricorrono per imparare la nostra nobilissima lingua, non gli ponessero loro davanti. Ma d’altra parte, ben meritano di non conoscere altro che la feccia de’ nostri scrittori que’ forestieri, i quali,

  1. Quelle parti di questa introduzione che son segnate con due virgole ,, da capo e a’ piè, appartengono alla seconda edizione.