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molto piú delle sue sincere, perocché è certo che le mie non erano che figlie della semplice umana compassione, e le sue, come si potrá rilevare, non erano che figlie d’una crucciosa superbia ferita e del livore e figlie d’un intempestivo artifizio mal impiegato.

Io sapeva però realmente che le sue orgogliose cieche imprudenze avevano aperto un campo fertile a’ suoi nimici e ad una lorda comica venalitá, e che meglio non aveva potuto cooperare per esporsi da se medesimo sopra una scena alle pubbliche risa. Ciò bastava al mio interno per commoversi sopra una sua essenziale disgrazia e per creder vero tutto ciò ch’egli mi narrava della plebe.

Ripigliando il signor Pietro Antonio il lago del suo ragionamento, si lasciò uscire di bocca che ne’ giorni passati, dopo alcune repliche della mia commedia, aveva egli tentato un ricorso con una supplicazione per farla sospendere. Non mi disse a qual tribunale si fosse presentato, anzi come pentendosi d’aver tócca questa corda, il suono della quale s’opponeva direttamente sempre piú alle stolte pretese che aveva da me e che spiegò dappoi, cercò di troncare il suono di quella corda colle seguenti precise parole: — Breve, mi furono chiuse le porte in faccia per ogni dove.

Alle sue sopra accennate poche parole sbarrai tanto d’occhi, e li volsi al degno Maffei quasi chiedendogli: — Che diavolo di visita m’avete condotta? — Chiamai a raccolta tutti i miei spiriti, tutta la mia cautela e la mia attenzione, e senza sapere ancora a che volesse riuscire il stucchevolissimo ragionamento dell’invasato, incominciai a contemplare la visita proccurata per un raggiro peggio che inurbano.

Non era io abbastanza sciocco da non comprendere a qual terribile tribunale un eletto ministro residente ad una real corte era ricorso ed era stato rispinto.

— Ah perché — disse basso il mio cuore, — caro il mio Gratarol, non vi umiliate a chiedere in grazia con de’ pretesti che non offendano il vostro decoro la dimissione della vostra andata all’uffizio di residente alla real corte di Napoli? Voi