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lettera confutatoria 289

calunnioso memoriale, e sofferite ch’io lo rifonda con que’ sentimenti sinceri co’ quali si ricorre ad un tribunale supremo per ottenere grazia e giustizia e co’ quali la vostra penna circospetta era tenuta a scriverlo.

Io lo espongo alla vostra sapienza. Bevete un calmante con un poco d’elleboro prima di leggerlo, e mi direte poscia pacificamente il vostro parere.

SERENISSIMO PRINCIPE

Illustrissimi ed eccellentissimi signori inquisitori di Stato,

Fu donata dal conte Carlo Gozzi alla comica compagnia del Sacchi una di lui commedia tratta dallo spagnolo e ridotta al gusto delle nostre scene, intitolata: Le droghe d’amore, la quale, rassegnata sotto la revisione del magistrato sopra la bestemmia, fu anche licenziata per il teatro Vendramini in San Salvatore.

Uscita, non so da qual fonte, e sparsa per tutta la cittá una diceria che l’autore di quell’opera, per delle infantate cause puerili indegne da riferirsi alla maestá di questo supremo tribunale, si fosse indotto ad innestare in quell’opera un carattere apposito sotto il nome d’un don Adone unicamente per far scherno e ridicolo dilegio di me, Pietro Antonio Gratarol, onorato del prezioso ministero di secretario dell’eccellentissimo senato e recentemente fregiato della destinazione di residente alla real corte di Napoli, prendendo vigore una tal voce, sparsa e fatta nota al magistrato di revisione, fu anche richiamata ad un nuovo esame dal zelo del magistrato suddetto la commedia medesima.

Ma letta con accuratezza a quel magistrato, anche con la prevenzione della disseminata diceria, fu di fatto trovata la commedia un composto di critica universalissima sul costume in tutte le parti che la conformavano e niente particolarizzata, e quindi replicatamente licenziata per il teatro.

Nulla ostante però, resistendo viva la diceria che il carattere del don Adone fosse una parte apposita a me particolarmente e prendendo forza per la cittá un apparecchio d’illusione, la temeraria licenza e la turpe venalitá comica, forse protetta e animata da’ miei nimici, valendosi della circostanza, colla mira d’un schifo interesse, arbitrarono con un baratto di parte, celatamente e contro la disposizione e assegnazione delle parti fatta dall’autore della