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lettera confutatoria 283


La pianta d’apparecchio ad un’illusione per la cittá cominciò a pullulare da questo principio; del qual principio incolpate me se la coscienza ve lo concede.

Il Sacchi per non comparire bugiardo col signor Agazi ministro revisore corse tosto col manoscritto licenziato dalla dama, e non solo depositò il libro nelle mani di quella, ma ebbe la indiscretezza e la bestialitá truffaldinesca, forse per accenderla contro voi e contro la attrice, d’informarla dell’uffizio fatto da quella e de’ vostri smaniosi imprudenti passi per i quali era richiamato il manoscritto, e di raccomandarsi perché il suo capitale non gli fosse dalle vostre sopraffazioni fiscato. Il caso fu un delizioso argomento per quella dama capricciosa e bizzarra, che v’odiava cordialmente e che vi aveva giurato d’esservi «fatale».

Proviamo questo «fatale» giuramento colla vostra medesima confessione. Nella pagina 17 della vostra puzzolente pisciatura apologetica (pagina d’un tal libello contro quella signora che, per quanto sia l’uomo cruccioso e per quanta ragione egli abbia d’esserlo, s’egli è ben nato, se ha una dramma di civile e colta educazione, se non ha un animo vile, brutale e plebeo, non cade nella esosa trivialitá animalesca di scriverlo e di pubblicarlo contro una donna) scriveste anche la seguente notizia: «Alla fine, dopo circa tre anni di nauseante coltura (cioè di coltivazione da voi usata verso quella dama), la mia recredenza ad un solo veramente ridicolo di lei volere mi cacciò nella turba de’ suoi nimici, né mi valsero incensi o sommessioni anche scritte: giurò d’essermi fatale». — E nella pagina 22 della vostra apologetica scorrenza si legge: «Non molto prima del fatal giuramento della diva, la compagnia di Sacchi era tornata a Venezia per ripigliare come al solito le comiche rappresentazioni».

Ora il Sacchi col suo deposito del mio manoscritto licenziato, colla sua indiscreta, incauta, inonesta informazione contro voi e contro la attrice, con le sue raccomandazioni istrioniche, non poteva recare a quella signora miglior capitale per ordire, in vero con inumano e inurbano capriccio, l’esecuzione dell’esservi «fatale» che vi aveva giurata.