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186 memorie inutili


Disse a me ch’io era un indovino da farne gran conto. Si trasse dal seno un altro viglietto, me lo porse, ed io lessi.

Il carattere era lo stesso del primo. Le caricature amorose dello stile medesimo. Io, che non era io, la ringraziava del ritratto giurandole che lo teneva sempre o sotto agli occhi o appoggiato al mio cuore. Io, che non era io, mi lagnava altamente di non vederla piú alla consueta finestra e d’essere afflittissimo, che tuttavia giudicava per mio conforto che ciò avvenisse per i di lei prudenti riguardi. Io, che non era io, non dubitava però della sua costante amicizia: tanto era vero quanto, attendendo una cambiale per supplire ad un pagamento e che non era ancora giunta, io, che non era io, la pregava d’una prestanza di venti zecchini per non mancare di pontualitá, ché dentro a quel mese averei fatta la restituzione religiosamente; che poteva consegnarli al latore del mio viglietto, persona da me conosciuta e fidatissima, eccetera.

Ebbi qualche sdegno su quella lettura. La giovine si pose a ridere del mio sdegno. — Come s’è Ella diretta con quel furfante? — diss’io. — Appunto com’Ella m’ha consigliata — rispose la giovine, seguendo: — Mi perdoni, ma ho detto del gran male di lei a colui. Il furbo rimase sorpreso e voleva insistere, ma vedendomi risoluta tacque mortificato. Gli commisi di non piú parlarmi di lei e di non ricevere piú né parole né viglietti. Gli ho regalato un zecchino col patto fermo che non mi ragionasse molto né poco di lei, non volendo piú la menoma relazione con lei; la qual relazione è poi troncata, com’Ella vede ora in questa gondola, e terminerá soltanto allorquando Ella abborrisca la mia amicizia, la qual cosa sarebbe per me una sciagura grande, le giuro.

— Devo dirle anche un evento favorevole — proseguí ella. — Mio marito ha sorpreso quel forfante nell’atto che gli rubava alcuni ducati ch’erano nel ripostiglio del suo scrittoio. Gli ha comandato di sloggiare tosto colla moglie, minacciandolo di farlo porre prigione se non partiva.

— Ella avrá avuta l’arte di dimostrare un gran dispiacere per que’ poveri ladri scacciati — diss’io.