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CAPITOLO XXV

M’assoggetto a qualche medicatura sulla mia salute non ferma. Do fine alle Droghe d’amore. Mi diverto a modellare altre commedie. Imbrogli cagionati alla compagnia comica da me protetta dalla Ricci. Altre coserelle attissime ad annoiare.


Credei d’essere in necessitá di dar qualche pensiero alla mia salute che dal dicembre trascorso sino all’aprile era disturbata da qualche febbretta e da una ostinata inappetenza.

Il medico mi diceva che se non avessi bevute le acque di Cila, sarei stato assalito nel giugnere dell’autunno da qualche pericolosa malattia. Volli ubbidire al parere di quel dottore e dar retta alla sua dotta minaccia. Attesi il mese di giugno, mi provvidi una cassetta di quelle acque che per opinione del medico dovevano risanarmi perfettamente, e passato ad un casino ch’io teneva nell’amena villa del Stra, prese le solite purgagioni, incominciai a bere quelle acque dette salubri co’ metodi prescritti dal mio dottore.

Passati quattro giorni della bibita giornaliera, mi sentiva star peggio, perdere le forze e crescere la nausea a’ cibi.

Scrissi al mio Galeno a Venezia il tristo effetto delle sue acque e che disponeva di sospenderle. Mille rimproveri, mille lugubri pronostici, mille precetti di non tralasciarle formarono la risposta ch’ebbi. M’ostinai ad obbedire la sua dottrina, bevendo per altri sei giorni le sue predilette acque. Mi ridussi dimagrato, spossato e senza poter piú nemmeno fiutare i cibi.

Feci scagliare nel fiume Brenta tutto il rimasuglio di quelle acque attissime a farmi crepare, onde non mi venisse piú tentazione di berne. Mi posi a fare de’ disordini moderati, a mangiare indistintamente ogni sorta di cibi, a bere del buon vino con parsimonia; e in pochi giorni mi trovai robusto, nodrito e in una salute perfetta.