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CAPITOLO XXXVIII

Secondo mio tentativo in favore del mio cordiale odiatore Gratarol.

Erano scorse l’un’ora e mezza della notte quando m’avviai verso il palagio della dama e ancora digiuno.

Cercava d’aver un testimonio al mio dialogo con quella signora, e non m’abbattei che al comico Luigi Benedetti romano, ch’era parente del Sacchi e il piú giudizioso e flemmatico della comica compagnia da me soccorsa. Lo pregai a seguirmi ed egli mi seguí.

Salimmo le lunghe scale della dama. Chiesi ad un servo s’ella fosse in casa. Mi rispose di sí e ch’ella era nella sua stanza da conversazione attorniata da dame, da senatori e da letterati. Lo pregai ad annunziarmi e a pregarla per conto mio di sofferire ch’io potessi dirle alcune parole fuori dalla adunanza sua.

La dama uscí tosto dalla tumultuosa stanza, mi si fece incontro con aria allegra e con una di quelle affabilitá che sono il maggior rimprovero agli uomini ben nati e negligenti ne’ doveri della uffiziositá fissata dal costume verso le persone ragguardevoli. Io era verbigrazia uno di quegli uomini che non fanno la corte, perché non hanno mire d’interesse e perché non vogliono essere adulatori.

Ella mi salutò scherzevolmente col solito titolo d’«orso» allusivo al mio vizio di ritiratezza. Mi fece sedere appresso di lei, fece sedere anche il comico; indi mi chiese che bramassi.

Non sarò condannato se la supplica da me esposta fu piú a mio favore che a favore del Gratarol. Mi lusingai di poter ottenere la grazia, e non volli avvilire per quanto mi fu possibile il mio ragionatore, per delicatezza, con una sua nimica.

— Vostra Eccellenza — diss’io — ha protetta la innocenza e la esposizione nel teatro, anche contro le mie preghiere al contrario espostele per me da mio fratello Gasparo, della mia