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CAPITOLO XII

Strattagemma militare.

Farmi d’essere in necessitá di fare un racconto vero per far conoscere a’ miei lettori che, quando ho potuto conciliare l’onore d’una pazza bravura necessaria al mio sistema nella societá in cui viveva con la cautela di evitare un pericolo, non ho mancato di farlo destramente, quantunque fossi un ragazzo di poca esperienza.

Il racconto non merita d’essere considerato per la sua piccolezza; ma nessuna delle memorie della mia vita è meritevole di considerazione, le quali memorie non saranno lette che da’ que’ pochi che avranno la inconcludente ma giusta curiositá di conoscere ciò ch’io fui e ciò ch’io sono, in un quadro censurabile in tutto, fuori che negli oggetti disegnati con impuntabile veritá ed esattezza.

La cittá di Zara, dov’è per lo piú la residenza del provveditor generale, ha una strada maestra assai lunga, che incomincia alla piazza di San Simeone e conduce sino alla porta detta Porta Marina. Molte viottole, che discendono dalle belle mura di quella cittá dalla parte del mare, sboccano in questa strada maggiore.

Avvenne che alcuni militari avevano voluto attraversare una di quelle viottole, che riducono al passeggio delle spaziose mura, e che un uomo intabarrato, muto e minaccievole, coperto la faccia, aveva loro presentato un facondo enorme trombone da fuoco alle vite e gli aveva fatti retrocedere e cambiare viottola.

Quella violenza doveva essere ragguagliata al provveditor generale, che averebbe rimediato alla pubblica quiete e alla libertá del paese; ma per i militari era una viltá il produrre alla giustizia superiore tale ricorso, benché in alcuni di quelli non fosse viltá il rinculare e il cedere alia minaccievole bocca d’un trombone.