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parte prima - capitolo xi 83

minacciarono i giorni miei, a’ terremoti che scossero la mia abitazione, a’ fulmini che la circondarono, alle tempeste che desolarono le mie sostanze ed a’ cimenti di poter essere trucidato. Dal canto mio, non saprei rendere questa ragione, e per renderne una che vaglia per tutte, sosterrò d’essere uno stupido.

A Budua, cittá verso al Montenegro, nella quale le femmine sono tenute in una gelosa guardia non comprensibile dall’Italia e dove sono facilissimi gli omicidi, il signor Massimo mio amico faceva di que’ gesti amorosi, da una finestra del nostro alloggio, che sogliono fare i giovani in qualche distanza alle vicine, ad una fanciulla, ch’era delle piú nobili e promessa sposa ad un signore di quella cittá, ed era corrisposto con quella vivacitá ch’è naturale in una ragazza tenuta schiava. Convien dire che lo sposo futuro avesse qualche notizia di quell’aerea tresca.

Una mattina quell’illirico assai rozzo si pose in conversazione con noi uffiziali della corte in una piazzetta dove siedevamo sopra a certe panche di pietra. Egli fece goffamente cadere ad un goffo proposito una sua goffa esagerazione di disprezzo sul costume degli uomini e delle femmine d’Italia, con un sorriso tra il sciocco e l’acerbo, scherzevole a modo suo, guardando sempre il sopraddetto signor Massimo. La veritá è che quel goffo discorso significava in sostanza, senza equivoco, che tutti gli uomini italiani erano cornuti e tutte le femmine italiane bagascie.

Il Massimo, senza dar corpo ad un tale animalesco significato, che chiamava sangue e vendetta in sul fatto, si contentò di difendere il costume mascolino e femminino della nostra nazione audacemente e di provare con degli argomenti robusti che la barbarie e la tirannide maschile verso alle donne, sempre acute e sempre ingegnose in ogni clima, cagionavano peggior costume e maggiori disordini nell’Illiria, che non cagionava l’adito libero di conversare in Italia.

Credo ch’egli abbia detto in parte il vero e in parte il falso, perché il facilitare e il sorpassare i disordini non fa che non sieno disordini; ma l’illirico, poco facondo e che si sentiva male in gamba per sostenere una controversia di parole, non fece