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parte prima - capitolo viii 67


Era un nulla il tirare e il girare le redini. M’abbassai alquanto per vedere la ragione dell’inutilitá del morso. M’avvidi che la bestia non aveva freno in bocca, e che la stanghetta del morso, per la pressa, per l’innavertenza o per la malizia de’ mozzi, piú animali d’un cavallo turco, non serviva che di barbazale.

Le porte basse e le vie anguste, per le quali doveva passare in balía di quel diavolo che volava, mi fecero riflettere che sarei giunto nella scuderia senza la testa; mi ricordai l’insegnamento del mio cozzone, e disperatamente allungandomi rizzato sulle staffe colle braccia innanzi, turai colle mani ambidue gli occhi all’animale in carriera. Egli non seppe piú dove s’andasse, e cozzando orbo e furioso con la fronte in una muraglia, sbalordito mi cadde sotto con tutte quattro le gambe. Rimasi in piedi da bravo cavallerizzo, e fatto alzare il turco che tremava come una foglia umiliato, tremando però alquanto anch’io, gli rassettai il morso nella bocca, e salitovi sopra nuovamente raggiunsi la brigata coll’applauso ch’hanno sempre queste brutali stramberie. Il dito medio della mia sinistra mano rimase gloriosamente scorticato nella percossa della muraglia. Porto ancora il segno della scorticatura, e una mancanza di alquanto di carne, ch’io consacrai al mio pazzo valore applaudito. Sono certo che, trovandosi orbo improvvisamente, l’animale a poco a poco si sarebbe fermato; ma era necessaria una muraglia a troncar tosto l’impeto inviato d’un cavallo in carriera.