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parte prima - capitolo ii 41


Quella meschina composizione m’ha cagionato de’ nuovi stimoli di immergermi nella poesia. Fu letta dal celebre signor Apostolo Zeno, e si è degnato di voler conoscere lo scrittore che imitava la semplicitá antica poetica di Cino da Pistoia, di Dante da Maiano, di Guitone d’Arezzo e di Guido Cavalcanti.

S’è maravigliato, o fece gentilmente vista di maravigliarsi, nel vedere un ragazzo. M’accarezzò, e perch’egli era uno de’ benemeriti coltivatori dell’antica semplicitá, scacciatori delle gonfiezze de’ secentisti e ristauratori del nostro secolo, m’incoraggí esibendomi l’uso de’ libri di tutta la sua scelta libreria.

L’incoraggimento d’un tant’uomo aggiunse fuoco alla mia passione. Non uscí da quel punto nessuna di quelle raccolte di poetiche composizioni, delle quali non è ancora spento l’andazzo in Venezia e nell’altre cittá dell’Italia, a’ maritaggi, alle monacazioni, agl’innalzamenti di grado, alle morti di persone, di gatti, di cani, di pappagalli, che non fosse lordata da’ versi miei, gravi o scherzevoli.

I libri, la carta, le penne e l’inchiostro erano la mia vita. Era sempre gravido, sempre partoriente de’ mostri nei luoghi rimoti. Ho scritti furiosamente, Dio sa come, sino all’etá de’ miei sedici anni, oltre a delle innumerabili poesie volanti, quattro lunghi poemi: il Berlinghieri, il Don Chisciotte, la Filosofia morale (cioè i Discorsi degli animali del Firenzuola), il Gonella in dodici canti.

L’abate Giovan Antonio Verdani s’era innamorato di quest’ultimo, e voleva che andasse alle stampe. Un poema del signor Giulio Cesare Beccelli, uscito da’ torchi di Verona, sopra lo stesso argomento, involò quell’aspetto di novitá che poteva avere il mio lavoro; e quantunque fosse piú copioso di fatti di quello del Beccelli, da me cavati da buone fonti antiche, l’umiltá mia non volle arrischiare confronti.

Un viaggio ch’io feci, e un allontanamento dalla mia casa di tre anni, e le rivoluzioni che nacquero nella mia famiglia nel triennio della mia lontananza, fecero cadere tutte le ragazzesche fatiche mie letterarie, che lasciai in un monte, in quel