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parte seconda - capitolo xviii 347

mania e stizzito, s’ingegnava a rispondere per le rime a quei sgorbi poetici, e con altrettanta insolenza. La cittá era piena di queste sconcacature satiriche.

Consigliai ridendo le mie creature a por termine a que’ bordelli dal canto loro, e a sperare nella mia penna teatrale la loro vendetta e il castigo de’ loro triviali nimici.

Stava io abbozzando un capriccio scenico intitolato: Il moro di corpo bianco, ossia lo schiavo del proprio onore, con lusinga di risarcire la compagnia de’ danni sofferti.

Finalmente, dopo ventidue giorni di lavoro sollecito con non so quanti murai, legnaiuoli, fabbri ed altri artefici, fu dato fine al ristauro della fabbrica, che fatta esaminare da’ periti della preside magistratura, fu trovata solida e sufficiente a poter essere aperta a’ pubblici spettacoli.

Il pubblico editto però, che fu affisso a’ pilastri della cittá, era d’un senso particolare. Egli esprimeva ch’era data licenza all’apritura del teatro Vendramini in San Salvatore, esaminato dai periti, i quali assicuravano il popolo che, per quanto durava quell’autunno e quel carnovale, non sarebbe caduto.

Una tal fede era troppo limitata e troppo soggetta a un errore di conseguenza funesta. De’ maligni partigiani degli altri teatri disseminavano essere una tal fede proccurata, con altre dicerie perniziose.

Fu aperto il teatro, e per dieci o dodici recite non fu che un vero diserto, le poche persone ch’entravano alle commedie del Sacchi erano poste in ridicolo co’ titoli di stupidi o, ironicamente, di spiriti forti.

Per quanto si affaticassero que’ poveri comici e nel scegliere opere sceniche attraenti e nel recitarle, tutto riusciva a un nulla. Il popolo, preso dal ribrezzo d’un pericolo e che aveva in Venezia due altri teatri di commedia e tre di drammi musicali, trovavano abbastanza da spassarsi le sere, e guardava quel teatro al di fuori come una trappola del genere umano.

Radamisto e Zenobia di Crébillon, tradotta da un cavaliere torinese, giá recitata in Torino dalla compagnia del Sacchi, alla quale il cavaliere traduttore liberale aveva regalato un vestiario