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CAPITOLO XVI

Riflessioni inutilmente fatte e lusinghe svanite

in cosa che non merita né riflessione né lusinga.

La mia narrazione sull’amicizia ch’ebbi per la sopra accennata attrice non è un argomento da far ridere o da far sbadigliare chi ha la sofferenza di leggerla. È lunga, ma necessaria per dipingere me uno sciocco e per far vedere in quante strane ridicole peripezie inaspettate può essere involto un sciocco mio pari, se si prefigge di ridurre una Lucrezia di chi per istinto e per educazione vuol essere ben altro.

Appena fu partita la Ricci, feci a me medesimo delle correzioni. — Non è possibile — diceva a me — che l’amicizia di questa femmina un giorno o l’altro non ti esponga a qualche pubblica scena che alteri alquanto la tua imperturbabilitá. Ella è zolfurea, leggera, ambiziosa, tutta amor proprio, ed ha de’ perniciosi principi d’educazione radicati profondamente. Il sistema del costume morale è corrotto universalmente; pensa a qual grado di corruttela possa esser giunta la morale in una comica. Questa femmina non sará paga giammai d’un guadagno legittimo, che non può satollare la sua ambizione senza confine. La sua massima fissa è di far la comica, non giá per un possibile onesto onorario, ma per cercare fortuna a costo della sua infamia, spogliando delle sostanze i balordi viziosi che, innamorati della sua comica bravura o della sua macchina, se le avvicineranno. Ella coltiva la tua amicizia, non giá per aderire alle tue massime e a’ tuoi consigli, ma perché tu contribuisca al suo credito e alla sua bravura; non solo per aumentarsi stipendio col mezzo della tua assistenza, ma per valersi delle armi che tu le proccuri contro la sua compagnia, quando si vedrá in auge e necessaria, e per abbandonarsi allora senza soggezione a’ guadagni illeciti co’ dissoluti viziosi merlotti adulatori che incenseranno la di lei deitá.