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parte seconda - capitolo xv 331

un bene ch’io cerco di fare non degenerino in amarezze e in disgusti dal canto mio.

A questo discorso il Benedetti fu veramente o comicamente mortificato. Confessando che il Sacchi suo zio era per natura torbido, inconsiderato e stravagante, proccurò di persuadermi che quell’uomo da molti giorni era frastornato da alcuni disordini relativi ad una sua figlia maritata, fuori della professione, a Castello; che ciò lo faceva tralunato, inquieto e piú strano del solito, e che non sapeva ciò che si facesse o dicesse. Discese a degli elogi comicamente abbondanti verso di me, protestando ch’io sarei la rovina della compagnia piena d’obblighi, col mio allontanamento, e infine cadde sulle preghiere le piú efficaci.

Sorrisi, promettendo che sarei quella sera ne’ stanzini del teatro, la mattina vegnente alla prova dell’opera mia, e che prenderei direzione a seconda degli eventi.

Mantenni la mia promessa. Trovai della contentezza e della calma e della creanza. La compagnia comica fece bene i suoi interessi per le opere mie e per le sue, sino al termine di quel carnovale. Nella quaresima passò alle sue piazze fuori di Venezia per sei mesi a fare il suo solito pellegrinaggio d’uccellatura. La Ricci non mancò di dimostrarmi della gratitudine e del dispiacere nel suo distacco, ed io rimasi in Venezia a fare alcuni riflessi sul di lei carattere pericoloso.