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le sue velenose saette. Per tal modo la rigida, matura massima stabilita da’ saggi, di non risvegliare memorie colle stampe di quel libro, aveva l’intento che s’è veduto.

De’ sopiattoni, librai e non librai, inondarono Venezia di quel libello, facendo un traffico opulentissimo, celatamente, di un’opera che, per dire il vero, non aveva altro merito che quello d’un’arrischiata temeritá né altro rilievo che quello della proibizione che la voleva affogata.

Io aveva preveduto e predetto questo avvenimento, e perciò non maravigliai; ma siccome vidi inconcusse e replicate alla perpetua memoria degli uomini, delle menzogne che potevano rannuvolare l’onor mio, sopra il quale, per paterna ereditá di natura sono veramente sensibile e non molto moderno filosofo, mi posi a scrivere i frivoli accidenti del corso della mia vita, dall’etá mia puerile sino all’anno 1780, a solo fine di poter anche narrare per incidenza e pubblicare in una purissima veritá l’avvenutomi col stravagante e balzano cervello del Gratarol nell’occasione della mia commedia: Le droghe d’amore, onde porre a confronto, e sempre relativamente a me solo, la candida veritá, colla sordida menzognera calunnia immaginata da un uomo che io sempre compiansi nelle sue vere sciagure non meritate, e a torto cruccioso verso di me, e con me irragionevole, pertinace, e inflessibile.

Sperai d’esser padrone di poter dare al pubblico il quadro de’ non considerabili accidenti della mia vita, i quali non potevano far altro effetto che quello d’annoiare de’ lettori e di umiliar me medesimo, ed io m’assoggettava volentieri a questo misero effetto, per non lasciar vive e credibili col mio silenzio delle bugiarde diffamatorie mordacitá a me dirette.

Prendeva uno sbaglio anche nella lusinga di questa mia padronanza. Il mio divisamente innocente non poté star celato, e mi fu suonato di nuovo che dal ravvivare discorsi sul libro del Gratarol, Dio mi guardasse.

Beato risibile istinto mio! Posi a dormire in un sonno profondo tra i miei scartafacci scordati, due grossi volumi ch’io aveva scritti, perché volli star desto io sopra a quel «Dio mi guardasse dal pubblicarli».