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parte prima - capitolo xxxii 189


La somma per supplire agli annuali aggravi mi fu assegnata con delle rendite di certi affittuali di Bergamo, di Vicenza e di Venezia, i quali ogn’anno mi stancheggianon e’ pagamenti, cadono ogn’anno in debito di residui, con tutte le mie attenzioni e le mie dugento lettere di sollecitazioni, di preghiere, di minaccie in questo proposito; e tuttavia sono piú di trent’anni ch’io adempisco non solo a tutti questi pesi di contribuzione per salvare i beni comuni dalle invasioni, ma a molti ripari ancora che chiedono ogn’anno le fabbriche, spezialmente di Venezia, ne’ loro continui cancherini.

I due fratelli Francesco ed Almorò, senza pregiudizio d’una reciproca fraterna benevolenza, la quale non fu tra noi giammai raffreddata, legati col pensiero al loro interesse ed a’ loro beni, s’alienarono poco a poco dalle mie intenzioni di riunire le nostre famiglie tutte. Abitavano poco in Venezia e molto nel Friuli, dove avevano i piccioli poderi del loro retaggio.

Prevedeva de’ nuovi matrimoni, che avrebbero resa assolutamente vana la mia brama dell’universale riunione di famiglia, e le mie previsioni coll’andare del tempo si verificarono, tanto nell’uno quanto nell’altro de’ miei due fratelli.

Tutte queste circostanze, tutti questi avvenimenti, uniti al dispendio considerabile avuto al solo mio peso nell’infermitá mia di due anni e mezzo, intiepidirono i desidèri veduti da me ineseguibili, e intiepidirono in me quell’utile ardore che mi aveva fatta contestare la lite col possente avversario signor marchese Terzi di Bergamo.

M’astrinsi alle metodiche annuali faccende stabilite ed a me addossate per tener lontani i comuni maggiori disordini, faccende che non furono da me giammai trascurate, e m’abbandonai in quel tempo alla mia frivola letteratura, come un uomo dell’ozio nimicissimo.