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CAPITOLO XXXII

Cagioni che resero vana la mia brama di riunire sotto un sol tetto

di nuovo tutte le nostre famiglie.

Furono i letterari contrasti, de’ quali i miei lettori sofferenti avranno le cause e gli effetti, che mi condussero grado grado ad empiere non so quante risme di carta di rappresentazioni teatrali, e fu la mia insaziabile filosofica brama di conoscere tutti i gradi dell’umanitá, che m’indusse alle notomiche osservazioni sull’indole della scenica popolazione, che mi restava da conoscere, nel mezzo alla quale, nel corso di venticinque e piú anni del mio scenico passatempo, se non avessi raccolta della materia da scrivere e da divertire, mi crederei piú insensato d’un architrave.

Aveva dato del movimento al litigio contro al signor marchese Terzi di Bergamo, e aveva supplicato il Serenissimo Collegio per ottenere una delegazione della causa ad un veneto tribunale, minacciando il detto signor marchese, che voleva per legge essere convenuto nel fòro di Bergamo, dov’egli aveva il suo domicilio. La spesa era per me intollerabile, e con delle buone ragioni ottenni dalla pubblica clemenza la grazia di quella delegazione ad una magistratura in Venezia, detta «il Sopragastaldo». La lite rimase giacente per molti anni, e le ragioni della mia pausa sono le seguenti.

Il desiderio ch’io nodriva nel seno, era (se non fossi morto prima) di attendere dagli effetti naturali del tempo e dalle mie assiduitá in pro di tutti, di poter cogliere un punto opportuno a riunire nuovamente tutta la nostra famiglia; ma de’ moltiplicati eventi accrebbero tanti ostacoli d’anno in anno a quella mia brama, ch’ella dovè infine contentarsi di rimanere nel numero delle brame impossibili da appagarsi.

La famiglia del fratello Gasparo, quantunque fosse alleggerita dalle tre nostre sorelle, rimaneva ancora numerosa. Mia madre,