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CAPITOLO XXVII

È confermato ch’io fossi marito, benché non avessi moglie.

Alcuni aneddoti di carattere serio.

Avvenne caso che ribadí sulle lingue il mio sognato matrimonio colla dama contessa Ghellini Balbi, e fu per questo modo.

Il nobile patrizio Benedetto Balbi, canonico di Padova e abate di Lonigo, cognato di quella dama, cavaliere fornito di doti e di beni della fortuna, s’era fatto creare dalla giustizia tutore e curatore solo del nipote Paolo, unico figlio della dama cognata.

Quel giovinetto poteva avere in quel tempo l’etá d’anni dieci circa, e il zio dispose di staccarlo dal seno materno per porlo in educazione nel collegio de’ cherici regolari somaschi in San Cipriano di Murano.

La madre, tenerissima dell’unico figlio degno della di lei tenerezza, non opponeva giá ch’egli entrasse nel collegio, ma s’affrontava che un figlio, da lei sino a quell’etá mantenuto e fatto educare, se le involasse dalle braccia come da un pericolo, con una totale rigida privazione, voluta dal cognato, della materna ingerenza nel collegio sopra al suo parto.

Corsero delle parole pungenti, e la dama si presentò a’ tribunali, chiedendo alla giustizia d’essere tutrice del figlio unitamente al cognato.

Le fiamme s’innalzarono, ed io doveva partecipare dell’arsura con tutta la mia innocenza. Il cavaliere cognato, per avvalorare quali si fossero le sue ragioni, andava narrando per tutta la cittá e a tutti quelli che si abbattevano in lui, proccurandosi anche de’ promulgatori, che ognuno sapeva che la cognata sua era passata ad un nuovo matrimonio col conte Carlo Gozzi, che non era piú Balbi ma Gozzi, e che aveva perduto ogni diritto sul figlio della di lui famiglia.

Eccomi di nuovo ammogliato, assolutamente senza saper d’esserlo, e se Cartesio non m’aiutava col suo sistema, facendomi