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parte prima - capitolo xxvi 163

— Tira un po’ adagio, perché il mio braccio destro è in due lezzi. — Il romore de’ famigliari che lo amavano fu grande. Il gondoliere corse amaramente piangendo e chiedendogli perdonanza. Egli calmava tutti e disse al gondoliere: — Mi facesti un male per farmi un bene. Qual colpa hai tu da chiedermi perdono? — Soggiacque a stare quaranta giorni nel letto, sempre nella stessa positura ordinatagli dal chirurgo, senza mai dire una sillaba che dinotasse la menoma impazienza. Potrei narrare una serie di questi suoi tratti, che non avrebbero a far nulla colle Memorie della mia vita.

Fui veduto penetrato dalla sua morte, e mi si avvicinò un certo signor Giovannantonio Gusèo, solito a fare il notaio, l’agrimensore, l’avvocato, il cancelliere ed il giudice in alcune iurisdizioni del Friuli, uomo conosciuto per piú artificioso del greco antico Sinnone, ch’era aderente e consigliere della moglie di mio fratello, che aveva data mano e rogati ne’ suoi protocolli molti istrumenti di alienazioni del nostro innocente patrimonio fideicommisso, e mi suggerí, in via di ricordo zelante, di contribuire alla mia madre, oltre alla sua dote, dieci sacca di farina e due botti di vino, ché mi sarei fatto, diceva egli, un grandissimo onore.

Conobbi la sede da cui partiva questo inviato e notai la ingegnosa accuratezza che lo inviava cogliendo un momento che pareva opportuno a sedurmi. Tali astuzie furono sempre per me un fastidio, e passando dalla mestizia al sussiego, risposi al messaggere Gusèo: che giudicava una scelta d’infelice cieca predilezione quella della madre di stare colla famiglia di mio fratello Gasparo; che la casa mia era anche abitazione di mia madre qualora avesse voluto accettarla; che in questa ella sarebbe riverita ed amata da tre rispettosi figli; che avrebbe avuto il suo trattamento e goduto il prodotto della sua dote; che rifiutando la nostra esibizione non faceva che farci un insulto; che accettandola faceva un bene al fratello Gasparo, col diminuire il numero della di lui famiglia; che gl’impegni miei di dover pagare un ammasso di debiti, di riparare a’ stabili ridotti alla diroccazione, e di svincolare dalle catene molti capitali