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CAPITOLO XXV

Contrattempo, frutto del rancore misto col bisogno.

Mi maritano senza moglie.

Le rendite ch’erano rimaste al fratello Gasparo per le divisioni, unite al frutto della dote della madre, all’assegnamento vitalizio stabilito alle tre sorelle che rimanevano appresso di lui, ed a’ proventi ch’egli aveva annualmente da certi librai e da altre faccende letterarie appresso Sua Eccellenza proccuratore Marco Foscarini, fu doge di gloriosa memoria, montavano alla somma di circa mille cinquecento ducati annuali, netti da quegli aggravi e da que’ debiti ch’io m’era addossato di pagare. Tal somma non era un tesoro, ma non sarebbero nemmeno un tesoro le ricchezze di Creso in una famiglia disordinata il di cui capo è il solo capriccio di tutti quelli che la compongono.

Ho detto che nelle divisioni il fratello Gasparo aveva bramata la casa di sopra, ch’era affittata cento cinquanta ducati, che lo avevamo servito, riservando colle divisioni medesime a noi tre fratelli la casa di sotto allora da lui abitata. Avevamo anche accordati alcuni mesi di tempo onde potesse sloggiare con agio.

Appena poté legalmente disporre della casa di sopra, occorrendo forse danari per dare i quartali o le mesate a que’ comici che dovevano agire per farlo opulente, egli, o piuttosto la di lui moglie, aveva giá fatto un mercato di quella casa, riscuotendo moltissime annate di affitti anticipati dalla nobil donna Ginevra Loredan Zeno, che andò ad abitarla, seguitando colla maggior calma del mondo, senza badare a tempo, a patti firmati o a divisioni seguite, ad abitare colla sua famiglia la casa di sotto, spettante a noi tre fratelli.